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Trance dissociativa da videoterminale

Attraverso l’interazione sociale virtuale, Internet e i suoi strumenti consentono la costruzione di nuovi sè (molto simili o molto lontani dal proprio sè reale). «Permettono, osserva Caretti (2000) la creazione di identità, talmente fluide e multiple, da trasformare i limiti del concetto stesso di identità». Nondimeno, obietta la Turkle (1997) “è possibile che la cultura del virtuale si riveli un fattore positivo: aiuta a realizzare un’identità multipla, integrata e consolidata, la cui condizione di benessere proviene dalla possibilità dell’lo degli utenti di accedere ed elaborare i propri molti sè».

A fronte di tali considerazioni, la novità e la complessità della Rete impongono che si analizzino a fondo i possibili rischi e conseguenze negative. E’ necessario anzitutto chiarire che cosa siano i disturbi da trance dissociativa.

Caratteristica fondamentale di questi disturbi è la sconnessione delle funzioni -di norma integrate- della coscienza, della memoria, dell’identità e della percezione dell’ambiente :

  • · Durante la trance si rileva un’ alterazione dello stato di coscienza simile al sonno, ma con caratteristiche elettroencefaliche non dissimili da quelle dello stato di veglia.
  • · L ‘individuo perde consapevolezza della realtà fino al ritorno alla condizione normale accompagnata da amnesia.

Lo stato di trance può riscontrarsi nella suggestione ipnotica, nella sintomatologia dell’isteria, in alcune forme di epilessia, o in stati di eccitazione che possono investire interi gruppi impegnati in rituali magico-religiosi. Per gli antropologi lo stato di trance è anche un’ esperienza di passaggio e di trasformazione -come indica l’ etimologia latina “transitus”-. E’ un’esperienza scandita da una fase di crisi, trascendimento e ripresa di sè, a cui corrispondono motivi e significati diversi, a seconda del contesto culturale, ma tutti volti a determinare il passaggio da uno stato di disordine individuale o collettivo a uno stato di ordine, dove nel disordine emergono la malattia fisica e lo stato di squilibrio psichico e nell’ ordine la guarigione e la creazione di un nuovo equilibrio (dizionario Utet; 1992).

La nozione di possessione, che è intimamente legata alla fenomenologia di trance (in questo caso “trance di possessione”), assume significati diversi a seconda del contesto d’uso. Nelle società occidentali, di cultura giudaico-cristiana, quando si incontra questo termine si pensa immediatamente alla possessione demoniaca a cui si connette l’esorcismo. Al di fuori della tradizione giudaico-cristiana, al contrario, si intende per possessione una pratica rituale che trova suo compimento in cerimonie, nel corso delle quali gli adepti -in trance- incarnano volontariamente esseri sovrannaturali, invitati a manifestarsi (Levy; 1992).

La manifestazione essenziale del Disturbo da Trance Dissociativa ,così come viene proposto nel  DSM-IV (Appendice B “criteri ed assi di ulteriori studi”) è uno stato involontario di trance che non è previsto dalla cultura della persona come parte normale di una pratica culturale o religiosa, e causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione funzionale. Attualmente non si correla il disturbo da trance dissociativa con la patologia conseguente alla dipendenza da Internet o dai videogame, tuttavia la sua configurazione induce a considerare nosologici i disturbi della coscienza indotti dalle nuove applicazioni della telematica. La trance dissociativa da videoterminale è infatti uno stato involontario di trance imputabile alla dipendenza patologica dal computer e dalle realtà virtuali. E’ caratterizzata da:

  1.  alterazione temporanea e marcata dello stato di coscienza;
  2.  depersonalizzazione;
  3.  perdita del senso abituale dell’identità personale, rimpiazzata o no da un’identità alternativa che influenza e dissolve quella abituale

Dal punto di vista psicodinamico devono essere considerati tre livelli evolutivi alla base della trance dissociativa da videoterminale: 1)la dipendenza, 2)la regressione, 3)la dissociazione (vedi schema l).

1)—Gli aspetti psicodinamici della dipendenza implicano:

  • un ipercoinvolgimento di tipo ritualistico con il computer e le sue applicazioni;
  • una relazione di tipo ossessivo-compulsivo[1] con le esperienze e le realtà virtuali;
  • una tendenza a” sognare a occhi aperti ” come modalità prevalente sull’azione nei rapporti reali;
  • una vergogna conscia o inconscia come tratto peculiare di debolezza dell’Io;
  • tendenze fobiche nei confronti della vita sociale.

2)—Gli aspetti psicodinamici della regressione implicano:

  • una tendenza a costruire relazioni immaginarie compensatorie dell’impoverimento delle relazioni oggettuali;
  • il ritiro autistico;
  • la fantasia autistica come modalità difensiva predominante dell’Io.

3)—Gli aspetti psicodinamici della dissociazione implicano:

  • la labilità dei confini dell’Io;
  • la dispersione del sè;
  • la diffusione dell’identità con la conseguenza della depersonalizzazione, cioè del distacco e dell’ estraniamento da se stessi fino alla perdita del contatto vitale con la realtà.

Schema 1.Tre livelli evolutivi della trance dissociativa da videoterminale

Dipendenza Regressione Dissociazione
Ipercoinvolgimento di tipo ritualistico con il computer e le sue applicazioni; Tendenza a costruire relazioni immaginarie compensatorie dell’impoverimento delle relazioni oggettuali; Labilità dei confini dell’Io;
Relazione di tipo ossessivo-compulsivo con le esperienze .e le realtà virtuali;[2] Ritiro autistico; Dispersione del se;
Tendenza a” sognare a occhi aperti ” come modalità prevalente sull’ azione nei rapporti reali; Fantasia autistica come modalità difensiva predominante dell’Io. Diffusione dell’identità con la conseguenza della depersonalizzazione, cioè del distacco e dell’estraniamento da se stessi fino alla perdita del contatto vitale con la realtà.
Vergogna conscia o inconscia come tratto peculiare di debolezza dell’Io;Tendenze fobiche nei confronti della vita sociale.

[1] compulsione o coazione (ingl. compulsion; ted. Zwang; fr.compulsion), la coazione indica una tendenza coercitiva e irrazionale che spinge l’individuo a mettere in atto determinati comportamenti di cui egli stesso riconosce l’inutilità e l’inadeguatezza, ma la cui mancata esecuzione provoca in lui una sensazione di angoscia. I sintomi compulsivi, o coatti, sebbene possano manifestarsi all’interno di varie patologie psichiche, sono caratteristici della nevrosi ossessiva, dove si distinguono le coazioni che si riferiscono a idee che il soggetto non può fare a meno di pensare, e le coazioni che riguardano atti, comportamenti, condotte che 1’individuo si sente costretto a compiere.

[2] Rispetto a una diagnosi di tipo multiassiale sull ‘ Asse I e l’ Asse II del DSM-IV, la Trance Dissociativa da Videoterminale dovrebbe essere valutata in relazione alla presenza di un Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità (vedi nota 1).

 

Applicazioni e implicazioni della rete in psicologia (“considerazioni” dr.Zinzi E. 2004)

Le tecnologie dell’informazione stanno continuamente modificando, il nostro modo di vivere! Si tratta di mutamenti profondi che riguardano tutti i momenti dell’esistenza: il modo di lavorare, studiare, curarsi, comunicare, divertirsi,… Nel mondo del lavoro si aprono nuove possibilità: come il telelavoro. Ma si hanno anche rivolgimenti globali per le organizzazioni: diminuiscono i ruoli di intermediazione, l’azienda si delocalizza, il commercio va on-line, si lavora a ciclo continuo, utilizzando i fusi orari e così via. Cambia il modo di imparare e fare scuola. Al cittadino si offrono nuove possibilità di interazione con la pubblica amministrazione. Internet non significa solo una esplosione delle fonti di informazione, ma un vero e proprio mutamento culturale.

Sono molte le riflessioni che possono venir fuori da un viaggio tra le “longitudini e latitudini del cyberspazio”, mano a mano che “i bit si sostituiscono agli atomi”. La Turkle sostiene: “Se il computer si sta sostituendo nel tempo ai nostri coetanei e genitori, non è un bene. Ma se il computer sta sostituendo la televisione, allora potrebbe essere un progresso”.

Ciò che personalmente credo accomuni i pensieri dei vari studiosi impegnati in questo campo, è il fatto che il cyberspazio è uno spazio divertente, specchio della nostra società, che essenzialmente riflette ciò che avviene nella vita off-line, ma con un pò più di esagerazione.

C’è, comunque, da fare una netta distinzione, tra vita on-line e vita off-line. Se infatti una persona nella vita reale mostra personalità multiple, distinte, noi la definiamo psicotica ; al contrario, nella vita virtuale, le personalità multiple, non solo sono accettate, ma anche considerate disinvolte e fluide.

Riflettendo un può meglio su questo aspetto dell’identità, non dobbiamo dimenticare che noi viviamo una esistenza incessantemente frammentata e dai ruoli multipli, anche off-line. Una donna si può svegliare come un’amante, fare colazione come una madre, e andare al lavoro come un avvocato. Un uomo può essere un manager in ufficio, un calciatore nel tempo libero e un educatore a casa. E’ stato sempre naturale,anche quando le reti dei computer non esistevano ,che le persone assumessero ruoli differenti. E’ una sfida pensare alle identità di ciascuno in termini di molteplicità. Internet semplicemente concretizza e rende più urgente la domanda sull’identità come molteplicità. Il cyberspazio prende la fluidità dell’identità, che è richiesta nella vita di tutti i giorni, e la innalza ad una potenza più alta: le persone giungono a vedersi come una somma di presenze distribuite sulle varie finestre che si aprono sullo schermo.

Ma è questa una visione normale della realtà che ci circonda, e, quindi, una buona utilizzazione dei mezzi on-line? Oppure è mera follia, sdoppiamento della nostra identità, schizofrenia??

E’ improrogabile considerare gli effetti del “multimediale”, nel contesto socio-culturale. Anzi, ci si trova costretti a considerare la Cyberpsicologia come tema molto importante, per le sue implicazioni nella nostra vita quotidiana, in tutte le sue varie manifestazioni.

La letteratura professionale ha già ben ponderato e accettato le ramificazioni della psicopatologia compulsiva di internet, non dissimili da quelle di altre patologie, gia ben studiate in passato, come l’alcool, il gioco d’azzardo, il sesso o il cibo. Questa letteratura ha mostrato che la compulsione da internet è un problema crescente. La rete ha molti vantaggi, che dobbiamo tenere nella giusta considerazione. Addirittura come sostiene la Turkle assumere uno più identità on-line, può condurre ad una conoscenza più profonda di sè e portare all’autorealizzazione, ma ci sono anche molti rischi. Inoltre quanto leggiamo dalla letteratura internazionale, come  quella dell’American Psychiatric Association e dell’A.P.A., ci mostra degli studi di casi che sottolineano le variabili diagnostiche, i fattori di rischio e le implicazioni di trattamento associate ai disturbi. Alla fine, nelle corti americane, dove la patologia clinica da internet ha portato a molti procedimenti legali, per esempio in divorzi dove uno dei coniugi era accusato di essere disinteressato alla vita famigliare a causa della sua dipendenza da internet, si è accettato che i disturbi mentali conseguenti possano essere usati dagli avvocati della difesa, per dichiarare incapaci di intendere e volere gli imputati.

Appare quindi condivisa l’opinione che le psicopatologie legate all’utilizzo delle rete, con la loro caratteristica di dipendenza, rientrino nella sfera degli atteggiamenti compulsivi, ossia quella tendenza coercitiva e irrazionale che spinge l’individuo a mettere in atto determinati comportamenti di cui egli stesso riconosce l’inutilità e l’inadeguatezza, ma la cui mancata esecuzione provoca in lui una sensazione di angoscia.

In questa mia ricerca, si evidenzia che tra gli strumenti a disposizione dello psicologo-psicoterapeuta, per il trattamento dei disagi e disturbi psichici, può trovare un posto specifico la psicoterapia on-line. Ciò non significa che qualsiasi psicoterapeuta voglia o possa applicarla, senza una specifica preparazione. Significa però che è possibile darle uno spazio legittimo nel novero delle forme di contatto tra psicoterapeuta e paziente.

Lungo lo sviluppo storico della psicoterapia, includendo naturalmente la psicoanalisi e le tecniche derivate, è possibile osservare come si sia allargato, in tutte le direzioni, l’ambito e il terreno su cui basare la legittimità dell’intervento psicoterapeutico.

Le malattie del corpo umano, nei suoi organi e funzioni sono curate dal medico, al quale è anche affidata la sua prevenzione. Ma la cura dell’uomo come organismo biologico, trova il limite proprio là dove l’uomo emerge con la sua univocità, nel tutt’uno della personalità, quando si interfaccia con l’ambiente (relazionale e fisico), attraverso il funzionamento della mente. Il riconoscimento di questo livello di Persona, implementato su quello dell’ animale uomo, ha prodotto, di pari passo con l’evolversi dei sistemi sociali e culturali, la necessità di vivere, non solamente attraverso la dimensione animale, ma nella realizzazione della dimensione di Persona, immersa in regole, anche ferree, che controllano pure i comportamenti istintivi, per porre l’uomo in una realtà che non è solo divenire biologico. Sono le  regole che, sebbene invisibili e non tangibili fisicamente, permettono la sopravvivenza in agglomerati sociali sempre più affollati, variegati e complessi.

Questo livello di attività, più mentale e più globale rispetto alla stessa fisiologia (che lo psicologo deve conoscere), è diventato l’ambito privilegiato d’intervento delle psicoterapie che conosciamo, le quali, nell’arco di poco più di un secolo, hanno in modo praticamente inequivocabile sancito che l’essenza del loro funzionamento, e dunque il loro stesso ambito è la Relazione tra terapeuta e paziente. Così uno psicoterapeuta può usare tecniche e principi diversi, addirittura ipotizzare diversi modelli di funzionamento della mente, senza perdere l’identità di psicoterapeuta, purchè nel suo esercizio rimanga un professionista, che previene e cura la capacità dell’individuo di relazionarsi, quando è compromessa dai disagi psicologici.

La psicoterapia, per alcuni studiosi, ha più efficacia se rivolta alla dimensione prettamente intrapsichica e per altri alla dimensione sociale, quella che fa meglio relazionare la mente con l’ambiente eterno: Quasi vi fosse una dicotomia nelle funzioni psichiche (un mondo interno ed uno esterno, un “io” che si contrappone ad un “fuori da sé”).

L’osservazione, anche solo soggettiva, di un dialogo interiore, fra queste due entità, in continua relazione, getta le basi per la comprensione di una realtà relazionale in casa propria, all’interno dell’unicità della persona, e rende il concetto di Relazione molto più profondo e complesso di quanto si possa immaginare.

La mente non è mai isolata dal mondo esterno; è in continuo relazionarsi, anche quando non ha un contatto diretto con una realtà relazionale. In carenza o assenza di informazioni, derivanti dalla realtà esterna, vi è un bilancio di funzioni, in grado di “completare” o addirittura di “creare”, su basi personali, pseudorealtà o realtà ipotetiche. Questo accade perché la mente “si rappresenta” in qualche modo una sua realtà mentale, aderente alla realtà che circonda l’organismo. In questo modo le è possibile immaginare un’azione, cioè farla accadere nella realtà della sua relazione interiore, valutandone gli effetti “virtuali”, per poi riproporla all’esterno nell’azione, se ha ritenuto utile darle il via libera.

Dunque lo psicologo utilizza lo strumento della relazione, e questo perché la persona diventa compiutamente “Persona” quando, tramite la relazione, riesce a vivere, in modo soddisfacente, nella propria comunità: così può soddisfare, oltre ai bisogni fisici e fisiologici, anche quelli relazionali.

La comunità terapeutica, le “case famiglia” stanno diventando gli ambienti adatti per il trattamento di disturbi psicologici come compromissione  della capacità di relazione dell’uomo; sono il posto di elezione; il luogo dove psichiatra, psicologo, operatori specializzati e altre figure possono monitorare ed intervenire, a vari livelli, necessari per una gestione completa della persona, che, a causa del suo disturbo, non ha più le “redini complete” del proprio sistema di controllo.

Nei pazienti non gravi, quelli in cui la capacità di relazione è sufficientemente stabile, sia a livello interiore che nel contatto con l’esterno, lo psicologo è ben indicato come professionista, capace di intervenire con le sue tecniche psicoterapeutiche. E’ qui che si apre una finestra all’uso di internet, qualora sia irrilevante usare il colloquio diretto, con un rapporto fisico professionale, o quello on-line.

Quando le capacità relazionali sono sufficienti, il nostro mondo interiore si rapporta con quello esterno e quindi anche con chi stà dall’altro capo di un computer, come in una “camera virtuale” che ognuno di noi ha nella propria mente. Qui viene rappresentata la realtà, (nel modo più aderente possibile) vengono anticipate le azioni e si giudicano le possibili reazioni dell’ambiente (ambiente a volte riprodotto da noi in modo particolare e non sufficientemente fedele). In questo ambito vi può essere una forma di contatto e lavoro a distanza, in assenza di una effettiva realtà, di un contatto diretto e fisico.

Nelle psicoterapie il contatto fra operatore ed utente si può così sempre immaginare “reale”, se fra di loro sono in contatto le interfacce delle menti, ognuna delle quali elabora nella propria “camera virtuale” gli eventi e le intenzioni; il terapeuta, in fin dei conti, agisce, a seconda dei casi, sui contenuti di discussione o sul modo con cui vede mal-rappresentata la realtà nella mente del paziente.

A questo livello il ruolo e l’intervento del medico è solo accessorio ed eventuale, nella misura in cui le richieste dell’ambiente possano costringere una persona a richiedere al proprio sistema fisico risorse che non possiede. In questo caso il corpo con i suoi segnali informa la mente sull’impossibilità di compiere quanto richiesto (livello di resistenza allo stress). Se necessario, con appropriati ausili farmacologici, il medico può aumentare e modificare la capacità di resistenza organica, migliorando la risposta (ad esempio: “con quella pasticca posso reggere sveglio tutta la notte, per studiare”). I limiti di questo procedimento sono evidenti. Lo psicologo può allora operare in modo tale da costringere la persona a conoscere meglio i propri limiti intrinseci, valutando le richieste dell’ambiente (ad esempio con training di assertività) o suggerire di interfacciarsi in ambienti relazionali diversi, fino a trovare quello che si armonizza con le caratteristiche peculiari di quella persona.

In ogni caso, lo psicologo può non fare uso del farmaco (al di là del fatto che non ne ha il potere di prescrizione) proprio perché opera a distanza, utilizzando strumenti (la parola, il gioco di ruolo, ecc.) che vengono recepiti dalla mente del paziente, la quale resta con le “redini” del proprio sistema e ha sia il dovere che il potere di rendere effettivi, se verificati, i suggerimenti, le interpretazioni e le informazioni ricevute o che via via elabora per riflessione.

Si tratta di configurare il paziente in modo nuovo, lasciando però che sia lui a determinare questa autoregolazione. In questo la psicoterapia si differenzia dall’intervento psichiatrico. Nell’uso del farmaco la mente non ha modo di processare l’intervento subito, per quanto efficace possa essere, e mutua i cambiamenti come “eventi” che accadono alla propria fisicità, cui deve adattarsi e basta. Nella psicoterapia, che dunque diviene lunga e complessa, rispetto ad un intervento psicofarmacologico, la mente del paziente, tramite l’esperienza della relazione con il terapeuta, deve “concedere” i “permessi di riscrittura”, usando una metafora utile tratta dal mondo dei computer.

Ecco che ci stiamo avvicinando al confine, quello in cui troviamo possibile che la virtualità, la distanza e l’assenza di contatto reale, sia un terreno accessibile per l’espletazione dello stesso tipo di intervento psicoterapeutico. Se pensiamo al fatto che il cambiamento psicoterapeutico non è un cambiamento diretto da parte del terapeuta, ma avviene con l’avallo del paziente, ecco che la dimensione della virtualità non cambia di molto questo assetto basilare, poiché le differenze che distinguono l’intervento psicoterapeutico reale da quello virtuale si risolvono in questioni di natura tecnica e di “bontà” della relazione tra terapeuta e paziente.

Diventa evidentemente necessario comprendere come fare per costruire una relazione credibile e duratura tramite la virtualità (e attualmente non è cosa semplice); occorre stabilire un modo efficace per comprendere quali siano i comportamenti virtuali e i loro significati (e i dati non sono accessibili e condivisi in modo efficace tra colleghi, sino ad oggi); occorre mettere a punto tecniche di colloquio efficaci per questo mezzo, che, sebbene invisibile, è reale, tanto quanto la realtà che la mente si crea nella propria “camera virtuale”, per rappresentare l’ambiente “reale”.

Occorre mettere a punto questa e altre faccende, come la diagnosi a distanza (questione spinosa), in modo sicuro, per valutare l’impatto dei colloqui virtuali sui contatti con l’ambiente.

Si devono chiarificare tutti questi aspetti, sicuramente; ma penso sia ormai evidente che la psicoterapia virtuale è possibile e ha la sua legittimità, proprio perché si basa sulla stessa richiesta di base delle altre psicoterapie: richiede i “permessi di scrittura” del paziente, per produrre cambiamenti, e lavora a distanza.

Nel caso specifico, al paziente virtuale viene richiesto un lavoro maggiore e più attivo, rispetto a quanto accade nel contatto terapeutico reale, nel passaggio tra ciò che viene elaborato nella “camera virtuale” e la propria realtà, off line.

Mentre nel dialogo reale esiste la cosiddetta comunicazione non verbale che corrobora i contenuti informativi e aumenta il grado di convincimento (o di credibilità), nell’ambito virtuale è il paziente che deve riuscire a sfruttare pienamente e correttamente le informazioni in arrivo e trasportarle nella propria dimensione reale.

Credo, in conclusione, che sia chiarita la dignità di una psicoterapia on line, anche se, va detto, penso che la psicoterapia virtuale sia, almeno attualmente, adatta a pazienti più maturi, cioè meno disturbati, la cui psicopatologia non implichi eventuali problemi nella capacità di applicazione delle proprie conclusioni dal virtuale al reale e una distorsione eccessiva nell’interpretazione soggettiva delle parole dell’interlocutore.

In conclusione penso che i computer offrano delle nuove possibilità critiche per la crescita personale, per lo sviluppo dei sensi personali di padronanza, per formare nuovi tipi di relazioni e per comunicare con gli amici e la famiglia in tutto il mondo, nell’immediato, persino nei mondi intimi, oltre che dare la possibilità di effettuare ricerche in qualsiasi tipo, in modo facile e immediato. Personalmente credo che il buon uso e i risultati della tecnologia dipenderanno in futuro, da ciò che le persone sapranno realizzare con essa. Dobbiamo considerarci consci di essere capaci di influenzare profondamente l’avvenire e il risultato di come andranno le cose. Allo stato attuale molte domande, e  molte scelte per l’assimilazione di questa tecnologia, hanno dei limiti; con diverso grado di soddisfazione dell’on-line da parte della gente. Noi viviamo nei nostri corpi. Noi siamo terrestri. Noi siamo esseri fisici, così come mentali, cerebrali, cognitivi ed emotivi. Credo, con ottimismo, che le persone riusciranno a utilizzare la vita sullo schermo (il computer) per meglio esprimersi nelle proprie potenzialità.

Bibliografia, sitografia, emerografia (psicologia on-line).

 

 

Bibliografia, sitografia, emerografia (psicologia on-line).

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